2005 L'anno del dragone hi-tech
Il Mondo - 07/10/2005
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Magliette, capi di abbigliamento e giocattoli. Rigorosamente con etichette made in China. Ma non solo. Il 2005 sarà ricordato anche come l'anno del dragone hi-tech. I cinesi ci hanno messo poco per fare il salto di qualità.E sono entrati in una nuova fase. Ora a bussare alle porte dei Paesi europei ci sono aziende, spesso poco conosciute, di alto livello tecnologico. Insomma, non semplici terzisti che assemblano schede elettroniche. Pochi sanno, per esempio, che il tasso di crescita delle esportazioni hi-tech cinesi dalla metà degli anni Novanta ha superato il 20% annuo, di gran lunga superiore ai saggi di crescita delle esportazioni manifatturiere e a quelli delle esportazioni hi-tech di Taiwan, Hong Kong,Corea, Usa ed Europa.

Gli ingegneri cinesi, sfornati dalle Università al ritmo di 350 mila ogni anno, hanno capito l'importanza di fare da soli. Anche in settori riservati fino a ora all'hi-tech occidentale, come lo sviluppo e la produzione dei microprocessori, dove occorrono altissimi investimenti (servono oltre 2 miliardi di euro per impiantare una fabbrica di silicio). è questo, per esempio, il significato del recente annuncio dell'Accademia delle scienze di Pechino, nei cui Labs è stato realizzato Godson, il primo microprochip a 64 bit in grado di offrire una capacità di elaborazione pari a quelle di processore dei giganti Intel o Amd e progettato per operare con sistema operativo Linux. Un'operazione messa a punto per non pagare le royalty di Windows Xp a Mr. Bill Gates.



mymarketing.itÒ 2005
La prossima generazione del chip, basata su velocità di clock previste di 800 mhz o 1 ghz sarà adatta a creare un personal computer economico, da 150- 200 dollari, basato su Linux e destinato a conquistare il sistema scolastico e corporate. Ma con aziende nate da contributi governativi e sovvenzioni private i cinesi stanno esplorando anche i mercati emergenti della telefonia mobile. Così nei laboratori di Pechino e Shanghai, che da città coloniale è diventata ora la vetrina cinese del capitalismo occidentale, si sperimenta il Td-Scdma (Time division synchronous code division multiple access). Un termine tecnico complicato dietro cui si nasconde la risposta orientale all'umts europeo e al sistema americano Cdma. Non solo. Per svincolarsi dagli standard giapponesi, i cinesi stanno lavorando su una versione dei dvd ad alta capacità (oltre 10 gigabyte di memoria).

Con il contributo del governo è stato varato cinque anni fa il progetto dell'Evd (Enhanced versatile disc), che quest'anno è stato selezionato come standard nazionale per l'industria dell'elettronica cinese. Equivalente a quello dei dvd, il disco ottico cinese, grazie all'adozione di una tecnologia sviluppata dalla On2, può anche ospitare video ad alta definizione (Hdtv). La scelta di puntare su un proprio standard, secondo gli analisti, è una mossa per affrancarsi dalle costose royalty pretese dai colossi giapponesi. I cinesi, inoltre, stanno diventando forti anche nella matematica dei calcoli complessi. Dove si deve ricorrere a supercomputer. Nel mondo esistono non più di 500 supercomputer: ai primi posti America, Giappone, Gran Bretagna e Germania. Ebbene, già ora i centri di ricerca cinesi ne possiedono 14, classificati tra i più potenti e performanti. Più in generale, l'hi-tech cinese si sviluppa a 360 gradi: la Cina trasferirà al Venezuela una tecnologia per la fabbricazione di satelliti, includendo la transazione nei programmi di sviluppo scientifico e tecnologico del Paese.

Il fenomeno Huawei
I segni di questo miracolo tecnologico ed economico si vedono a Shenzhen, città della ricca regione del Guangdong, Cina meridionale. Negli anni Settanta era un villaggio di 50 mila abitanti, in prevalenza pescatori. Oggi è una frenetica megalopoli da 7 milioni di abitanti, con linee metropolitane a guida automatica e aria condizionata alle stazioni. Qui, in una Silicon Valley cinese, con palazzi in vetro e acciaio si trova il quartiere generale di Huawei technologies. Impossibile trovare un settore delle tlc assente dal portfolio, visto che opera a 360 gradi su apparati e servizi: dalle reti fisse a quelle mobili, compreso networking e infrastrutture in fibra ottica. E dallo scorso dicembre produce anche telefonini di terza generazione. A fondarla nel 1988 è stato Ren Zheng Fei (ora 61enne), ingegnere con un passato da tecnico nell'esercito. Personaggio blindato che parla solo cinese, non concede interviste, né si fa fotografare. Ma figura tra i neoricchi, con un patrimonio personale stimato in 500 milioni di dollari. La sua creatura cresce a ritmi vertiginosi.

Basti pensare che nel 2004 le vendite hanno raggiunto i 5,6 miliardi di dollari, segnando un incremento del 45% rispetto al 2003. Con una quota del 40% (oltre 2,3 miliardi di dollari) proveniente dai mercati esteri. Cifra che conta di raddoppiare entro la fine anno.Dice il vicepresidente Eric Xu: «La strategia di Huawei è semplice. Abbiniamo il basso costo della manodopera, con il valore aggiunto di ricerca e sviluppo». Ecco perché i suoi 30 mila dipendenti (presenti in 55 nazioni) hanno un alto livello di scolarizzazione (l'85% è laureato e 12.500 lavorano nell'r& d). Ora Huawei opera con forza in Europa. Ha siglato, per esempio, una joint venture con Siemens, per portare la telefonia mobile 3G in Cina, mentre in Gran Bretagna è stata scelta da British telecom, a scapito di Marconi, come fornitore per il progetto 21CN, la nuova rete integrata Uk del 21esimo secolo («e la nostra non era l'offerta più bassa» hanno ammesso). Non solo: la stessa Marconi è finita nel mirino di quello che è il più grande produttore cinese di attrezzature per le telecomunicazioni, a cui non dispiacerebbe acquistarla. Un'operazione che potrebbe valere 560 milioni di sterline (quasi 800 milioni di euro). In Italia Huawei è arrivata a novembre 2004, con 20 addetti tra Milano e Roma. Ma già adesso sono saliti a cento persone, buona parte dei quali neoingegneri italiani. E come afferma John Xiao Ping Qiao, amministratore delegato di Huawei technologies Italia: «Contiamo di raddoppiare per il 2006».

Haier, dalle lavatrici al plasma
Non di solo bianco vive Haier. Colosso della tecnologia negli elettrodomestici con 13 miliardi di dollari di fatturato (51 mila dipendenti nel mondo) è presente in Italia dal 2001 con gli stabilimenti di Campodoro a Padova (ex Meneghetti). Ha iniziato proponendo la vendita di frigoriferi e lavatrici di fascia medio alta. Incontrando però non poche difficoltà perché la grande distribuzione si aspetta che un marchio cinese, anche se prodotto in Italia, debba per forza costare di meno. Così i vertici hanno deciso di diversificare. Ha già lanciato telefonini dallo spiccato design. E vedremo presto anche televisori al plasma, lcd e lettori dvd con marchio Haier, presentati all'Ifa di Berlino (la manifestazione che ogni due anni presenta il meglio della produzione mondiale audio video e consumer elettronico). L'avventura di Lenovo è il 56enne Giuseppe Giuliani a essere appena stato scelto dai vertici cinesi di Lenovo, per guidare la neonata sede italiana di Segrate (55 dipendenti). Una scelta nel segno della continuità, vista la sua lunga esperienza come manager Ibm. Dunque con la sua nomina si mette la parola fine allo scorporo della Personal computing division (Pcd) di Big Blue, acquistata con rapidità e decisione a inizio maggio dall'azienda di computer del Dragone, terzo produttore mondiale che ha per ora deciso di mantenere l'azzeccata linea business dei notebook a marchio ThinkPad, ma che non nasconde di volere portare nel nostro Paese i prodotti del settore consumer elettronico, dai lettori digitali alla telefonia cellulare.

Tra l'altro Lenovo fornirà i suoi computer al comitato per le Olimpiadi invernali di Torino 2006: si parla di 4 mila desktop, 600 notebook e 500 server.Una duplice mossa: sia per conquistare i favori dei mercati Ict occidentali, sia per scaldare i muscoli in previsione delle Olimpiadi del 2008, che si terranno proprio a Pechino. Dove è già previsto che la tecnologia dei media globali rivestiranno un ruolo di primo piano. E allora toccherà a noi giocare fuori casa. Il tempo per allenarci e conoscere l'avversario lo abbiamo. La corsa di 3 Sempre cinese (al 91%), seppure di Hong Kong, è il quarto gestore italiano di telefonia mobile: 3 Italia, che sta per quotarsi a Piazza Affari e che in tre anni ha già conquistato 4 milioni e mezzo di utenti. Il carrier, il primo a lanciarsi con un servizio basato sullo standard umts e a offrire videotelefonate, è controllato infatti da Hutchison Whampoa, gruppo guidato dal magnate di Hong Kong Li Ka-Shing.

Il business dell'umts significa fare soldi non sui servizi voce ma soprattutto sul traffico, cioè su musica, sport, accesso a internet, televisione. Ecco perché su un fatturato H3g di circa 800 milioni di euro (nel 2004) la percentuale dei ricavi dai dati è del 26%. Ma la strategia di Li Ka-Shing guarda lontano: finora per imporre l'umts, il gruppo cinese ha investito 22 miliardi di dollari.